domenica 26 aprile 2009

“Cos’ ti vol picio?”. Così mi aveva interpellato il vecchio col berretto a visiera quando ero entrato, esitante, nella piccola libreria antiquaria di Via San Nicolò, a Trieste, attorno agli anni ’25-’26 del secolo scorso.
A suscitare la mia cupidigia bibliofila di ragazzo quattordicenne era stato un magnifico esemplare settecentesco del Fedone di Platone. “No xe roba per ti”, aveva continuato il vecchio in tono più benevolo. E fu così che incontrai per la prima volta Umberto Saba e, per suo tramite, la moglie, la cara e impareggiabile Lina, e sua figlia, Linuccia, una delle amiche più fedeli della mia adolescenza.
Da allora, durante gli anni del ginnasio-liceo, mi capitò molto spesso, almeno un paio di volte la settimana, di passare il pomeriggio dai Saba. Quell’appartamento un po’ cupo e disadorno, in una casa di Via Crispi, era diventato una delle mie mete preferite. E se da Saba la mia presenza era soltanto tollerata, in compenso ero accolto affettuosamente da Lina, che non mancava mai di offrirmi qualcuna delle sue deliziose marmellate. Quando all’orizzonte familiare apparve Bobi Bazlen, con la sua evidente attenzione, non solo intellettuale, per Linuccia, l’atteggiamento del vecchio poeta non fu dei più benevoli, nonostante fosse grazie a lui che parecchi letterati venuti dal “Regno”, come Montale, Leo Ferrero, Giacomino Debenedetti, per esempio, facevano tappa in Via Crispi, prima di recarsi, scortati da Bobi (e, in retroguardia, da me) alla Villa Veneziani, per incontrare Italo Svevo, negli ultimi due o tre anni della sua vita.

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Coinvolgimi o fammi arrabbiare

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