Gillo Dorfles
Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti
Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti
Trieste, Natale 1948
[…]
Con Gavazzeni, vado a trovare Umberto Saba nella sua libreria in via San Niccolò. Il vecchio pazzo è irritato, ma compiaciuto nel vedere tanta gente (ci sono anche Alma e Lalla) invadere la bottega. Per prendere tempo, si scaglia contro di me, rinfacciandomi di non aver voluto fare lo psicanalista (così forse avrebbe potuto sfruttarmi), dice alcune sciocchezze su comunismo, psichiatria e letteratura italiana, poi si siede sulla sua poltrona sgangherata, mentre io e Gavazzeni restiamo in piedi. Ha una scarpa senza lacci, il paltò sbrindellato e il solito berretto a visiera. Carletto, il giovane commesso, pur essendo diventato un uomo alto e grasso, ben pasciuto, socio a parità di diritti di Saba, ha conservato per l’antico dispotico padrone parte della reverenza di un tempo. Ricordo il Carletto di venti anni fa, quando venivo con Linuccia a salutare suo padre: sempre male accorto, esile, timido e impacciato, commesso privo di diritti. Ora invece ha famiglia, moglie e figli, guadagna bene, eppure – anche se nel periodo repubblichino è stato lui a salvare la libreria – è innegabile che dall’associazione con Saba tragga vantaggio: una volta stampata la piccola vignetta di San Giusto e la dicitura Libreria Umberto Saba, la carta da lettere con le buste fa sempre colpo. “Io scrivo le lettere e lui le firma”, dice Saba con orgoglioso disprezzo.
A un certo punto, Carletto chiede il permesso (ossia annuncia) di assentarsi per un quarto d’ora. Saba ne è seccato, ma al contempo ne gode, perché sa che potrà dedicarsi lui a trattare con la clientela. Dopo un po’, infatti, entra un tale che chiede un libro di meccanica. Con fare umile, ma spossato, Saba gli chiede: “Cossa la desidera sior?” Poi aggiunge con fare tranchant: “Noi no tenemo libri scientifici”. Entra un’altra persona che chiede un libro con tutte le sigle delle porcellane storiche. “Non esiste un libro di questo genere”, gli dice Saba perentorio. “Sì”, risponde il visitatore, “esiste anche un manuale di Hoepli”.
Saba liquida vari altri clienti, sbuffando seccato, ma compiaciuto di fare un dispetto a Carletto trattandoli male.
Infine entra una ragazzina sedicenne. “Me ga mandà il sior X, me ga dito de domandar de Carleto”, esordisce. “Cossa la vol?”, le chiede Saba. “Go i due volumi de Churchill de vender… ghe interessa?” Chiede la ragazzina. “La devi tornár quando ghe xe Carleto”, taglia corto Saba. “Ah! No la xe lei Carleto?” Gli fa la ragazzina stupita. Questa volta Saba è indignato davvero. Ormai è evidente che il commesso è diventato più importante di lui.
[…]
Con Gavazzeni, vado a trovare Umberto Saba nella sua libreria in via San Niccolò. Il vecchio pazzo è irritato, ma compiaciuto nel vedere tanta gente (ci sono anche Alma e Lalla) invadere la bottega. Per prendere tempo, si scaglia contro di me, rinfacciandomi di non aver voluto fare lo psicanalista (così forse avrebbe potuto sfruttarmi), dice alcune sciocchezze su comunismo, psichiatria e letteratura italiana, poi si siede sulla sua poltrona sgangherata, mentre io e Gavazzeni restiamo in piedi. Ha una scarpa senza lacci, il paltò sbrindellato e il solito berretto a visiera. Carletto, il giovane commesso, pur essendo diventato un uomo alto e grasso, ben pasciuto, socio a parità di diritti di Saba, ha conservato per l’antico dispotico padrone parte della reverenza di un tempo. Ricordo il Carletto di venti anni fa, quando venivo con Linuccia a salutare suo padre: sempre male accorto, esile, timido e impacciato, commesso privo di diritti. Ora invece ha famiglia, moglie e figli, guadagna bene, eppure – anche se nel periodo repubblichino è stato lui a salvare la libreria – è innegabile che dall’associazione con Saba tragga vantaggio: una volta stampata la piccola vignetta di San Giusto e la dicitura Libreria Umberto Saba, la carta da lettere con le buste fa sempre colpo. “Io scrivo le lettere e lui le firma”, dice Saba con orgoglioso disprezzo.
A un certo punto, Carletto chiede il permesso (ossia annuncia) di assentarsi per un quarto d’ora. Saba ne è seccato, ma al contempo ne gode, perché sa che potrà dedicarsi lui a trattare con la clientela. Dopo un po’, infatti, entra un tale che chiede un libro di meccanica. Con fare umile, ma spossato, Saba gli chiede: “Cossa la desidera sior?” Poi aggiunge con fare tranchant: “Noi no tenemo libri scientifici”. Entra un’altra persona che chiede un libro con tutte le sigle delle porcellane storiche. “Non esiste un libro di questo genere”, gli dice Saba perentorio. “Sì”, risponde il visitatore, “esiste anche un manuale di Hoepli”.
Saba liquida vari altri clienti, sbuffando seccato, ma compiaciuto di fare un dispetto a Carletto trattandoli male.
Infine entra una ragazzina sedicenne. “Me ga mandà il sior X, me ga dito de domandar de Carleto”, esordisce. “Cossa la vol?”, le chiede Saba. “Go i due volumi de Churchill de vender… ghe interessa?” Chiede la ragazzina. “La devi tornár quando ghe xe Carleto”, taglia corto Saba. “Ah! No la xe lei Carleto?” Gli fa la ragazzina stupita. Questa volta Saba è indignato davvero. Ormai è evidente che il commesso è diventato più importante di lui.