domenica 26 aprile 2009


Trieste, Natale 1948

[…]

Con Gavazzeni, vado a trovare Umberto Saba nella sua libreria in via San Niccolò. Il vecchio pazzo è irritato, ma compiaciuto nel vedere tanta gente (ci sono anche Alma e Lalla) invadere la bottega. Per prendere tempo, si scaglia contro di me, rinfacciandomi di non aver voluto fare lo psicanalista (così forse avrebbe potuto sfruttarmi), dice alcune sciocchezze su comunismo, psichiatria e letteratura italiana, poi si siede sulla sua poltrona sgangherata, mentre io e Gavazzeni restiamo in piedi. Ha una scarpa senza lacci, il paltò sbrindellato e il solito berretto a visiera. Carletto, il giovane commesso, pur essendo diventato un uomo alto e grasso, ben pasciuto, socio a parità di diritti di Saba, ha conservato per l’antico dispotico padrone parte della reverenza di un tempo. Ricordo il Carletto di venti anni fa, quando venivo con Linuccia a salutare suo padre: sempre male accorto, esile, timido e impacciato, commesso privo di diritti. Ora invece ha famiglia, moglie e figli, guadagna bene, eppure – anche se nel periodo repubblichino è stato lui a salvare la libreria – è innegabile che dall’associazione con Saba tragga vantaggio: una volta stampata la piccola vignetta di San Giusto e la dicitura Libreria Umberto Saba, la carta da lettere con le buste fa sempre colpo. “Io scrivo le lettere e lui le firma”, dice Saba con orgoglioso disprezzo.
A un certo punto, Carletto chiede il permesso (ossia annuncia) di assentarsi per un quarto d’ora. Saba ne è seccato, ma al contempo ne gode, perché sa che potrà dedicarsi lui a trattare con la clientela. Dopo un po’, infatti, entra un tale che chiede un libro di meccanica. Con fare umile, ma spossato, Saba gli chiede: “Cossa la desidera sior?” Poi aggiunge con fare tranchant: “Noi no tenemo libri scientifici”. Entra un’altra persona che chiede un libro con tutte le sigle delle porcellane storiche. “Non esiste un libro di questo genere”, gli dice Saba perentorio. “Sì”, risponde il visitatore, “esiste anche un manuale di Hoepli”.
Saba liquida vari altri clienti, sbuffando seccato, ma compiaciuto di fare un dispetto a Carletto trattandoli male.
Infine entra una ragazzina sedicenne. “Me ga mandà il sior X, me ga dito de domandar de Carleto”, esordisce. “Cossa la vol?”, le chiede Saba. “Go i due volumi de Churchill de vender… ghe interessa?” Chiede la ragazzina. “La devi tornár quando ghe xe Carleto”, taglia corto Saba. “Ah! No la xe lei Carleto?” Gli fa la ragazzina stupita. Questa volta Saba è indignato davvero. Ormai è evidente che il commesso è diventato più importante di lui.
“Cos’ ti vol picio?”. Così mi aveva interpellato il vecchio col berretto a visiera quando ero entrato, esitante, nella piccola libreria antiquaria di Via San Nicolò, a Trieste, attorno agli anni ’25-’26 del secolo scorso.
A suscitare la mia cupidigia bibliofila di ragazzo quattordicenne era stato un magnifico esemplare settecentesco del Fedone di Platone. “No xe roba per ti”, aveva continuato il vecchio in tono più benevolo. E fu così che incontrai per la prima volta Umberto Saba e, per suo tramite, la moglie, la cara e impareggiabile Lina, e sua figlia, Linuccia, una delle amiche più fedeli della mia adolescenza.
Da allora, durante gli anni del ginnasio-liceo, mi capitò molto spesso, almeno un paio di volte la settimana, di passare il pomeriggio dai Saba. Quell’appartamento un po’ cupo e disadorno, in una casa di Via Crispi, era diventato una delle mie mete preferite. E se da Saba la mia presenza era soltanto tollerata, in compenso ero accolto affettuosamente da Lina, che non mancava mai di offrirmi qualcuna delle sue deliziose marmellate. Quando all’orizzonte familiare apparve Bobi Bazlen, con la sua evidente attenzione, non solo intellettuale, per Linuccia, l’atteggiamento del vecchio poeta non fu dei più benevoli, nonostante fosse grazie a lui che parecchi letterati venuti dal “Regno”, come Montale, Leo Ferrero, Giacomino Debenedetti, per esempio, facevano tappa in Via Crispi, prima di recarsi, scortati da Bobi (e, in retroguardia, da me) alla Villa Veneziani, per incontrare Italo Svevo, negli ultimi due o tre anni della sua vita.

[…]

martedì 14 aprile 2009

sabato 11 aprile 2009

NEVE


Neve che turbini in alto e avvolgi
le cose di un tacito manto.
Neve che cadi dall'alto e noi copri
coprici ancora, all'infinito: imbianca
la città con le case, con le chiese,
il porto con le navi,
le distese dei prati ....

Umberto Saba muore per infarto la mattina del 25 agosto 1957 nella clinica Villa San Giusto a Gorizia, dove si era ritirato pochi giorni prima che morisse la moglie. In mano ha ancora la sua pipa.

Disegno di Saba

DOPO LA TRISTEZZA
QUESTO PANE HA IL SAPORE D’UN RICORDO,
MANGIATO IN QUELLA POVERA OSTERIA,
DOV’È PIÙ ABBANDONATO E INGOMBRO IL PORTO.


Fughe e ritorni

Firenze, Bologna, Torino, Milano, Roma: le fughe e i ritorni a Trieste sono continui. A Milano, dove tenterà un inserimento lavorativo, il poeta conosce Giulio Einaudi, Vittorio Sereni, Alberto Mondadori. Saba lascia più volte la sua città per tentare di radicarsi altrove, ma finisce sempre col tornarvi e ritrovarvi la sua identità e le sue interiori lacerazioni. E comunque nel secondo dopoguerra, tornato a Trieste, frequenterà sempre meno i caffè storici e i locali che amerà di più saranno soprattutto le osterie della città vecchia. Un vero punto di incontro, soprattutto negli anni precedenti le leggi razziali, è la sua stessa libreria antiquaria, dove si ritrovano anche Giovanni Comisso, Sandro Penna, Pier Antonio Quarantotti Gambini.

CONFRONTO

L'analogia del testo di De André con la celebre poesia di Saba è evidente non solo nel titolo, ma anche in singole immagini: la "bimba che canta la canzone antica / della donnaccia" richiama la "prostituta"; i "quattro pensionati mezzo avvelenati / al tavolino" fondono le due immagini sabiante dell'"osteria" e del "vecchio / che bestemmia". Tuttavia vi è anche una differenza ideologica sostanziale fra i due autori: mentre per Saba "il Signore" riscatta con la sua presenza i reietti della sua città, il "buon Dio" di De André "non dà i suoi raggi" ai poveri quartieri genovesi. Più forzato, inoltre, sembra l'atteggiamento di Saba, che vede il suo pensiero "farsi / più puro dove più turpe è la via", di fronte a quello di De André, che si limita a definire meno enfaticamente "vittime" gli umili abbandonati non solo da Dio, ma anche dalla società. A livello metrico, anche perché svincolato da esigenze melodiche, il testo di Saba risulta più regolare: prevalgono infatti gli endecasillabi, intercalati da altri imparisillabi brevi: settenari (vv. 8 e 21), quinari (vv. 10, 14, 18) e un ternario (v. 16). La quartina iniziale ha uno schema a rima incrociata ma con assonanza tonica ai vv. 1 e 4. La terzina di chiusura ha lo schema di una terzina dantesca. Sapiente è la distribuzione delle rime nella parte centrale, dove l'unico termine irrelato ("vecchio") è comunque in rapporto di rima imperfetta coi vv. 2-3.

Città vecchia di F.De Andrè

Il rapporto tra la poesia di Saba e il testo di una canzone del cantautore genovese Fabrizio De André 

Fabrizio De André si deve essere ispirato esplicitamente a Saba nel comporre la canzone dal titolo “La città vecchia”. I quartieri di una città raccontano la sua storia e ne rivelano il carattere. Esistono i quartieri residenziali delle famiglie ricche, le periferie dormitorio, le zone monumentali, quelle industriali. Ci sono poi gli angoli dove si concentrano i diseredati, gli esclusi di ogni tipo. A questi guarda il cantautore genovese Fabrizio De André. Anche in questa canzone a svolgere il ruolo del protagonista è il mondo delle prostitute, dei miserabili, dei falliti, vittime inconsapevoli della società borghese. In un certo senso essi incarnano la cattiva coscienza dell’altro mondo, quello dei ben pensanti, di chi mira al successo, al denaro, di chi fa le leggi a sua somiglianza. Immagine vivente del dolore senza ipocrisie e senza colpe, sono anche portatori di una vitalità istintiva, quindi pura, che invece la civiltà frena e nasconde.

Il messaggio

Il poeta penetrando in una strada del quartiere del porto affollata della vita di ogni giorno, in un bagno di “gente che viene e che va”, nella confusione, riscopre le ragioni semplici e vere dell’esistenza, ristabilendo con gli uomini un rapporto di solidarietà. Questa è l’unica esperienza che comunica all’autore qualcosa di divino, come se fosse possibile incontrare il Signore solo in quei vicoli. In questa poesia Saba avverte il suo “pensiero farsi più puro”, attribuendo alla riscoperta dell’umana fratellanza un significato di tipo religioso: è questo il messaggio del componimento.

Saba e Trieste

La descrizione del fascino di Trieste non è fatta con l’animo del visitatore. Questa poesia non si presenta come un giornale di viaggio, ma è possibile avvertire nella lettura l’affetto di chi vive in questa città, e la sente sua. Saba affermò infatti “Non so, fuori di lei pensar gioconda/ l’opera, i giorni miei quasi felici,/ così ben profondate ho le radici/ nella mia terra”. Egli ama tutta la sua città: nei suoi vicoli, nelle sue osterie, nel suo ghetto, nel suo porto. Questa poesia può essere considerata complementare alla altra poesia, almeno altrettanto famosa, “Trieste”. Alla ricerca della solitudine e alla visione cittadina che si offre dall’alto, si sostituisce in Città vecchia qui l’immergersi in un’oscura via di città vecchia (v.2), in una strada del quartiere del porto affollata dalla vita di ogni giorno.

città vecchia







L’attività della«Libreria Antica e Moderna» ebbe inizio il 1 ottobre 1919 e consentì a Saba di raggiungere una modesta ma decorosa indipendenza economica che gli permise di dedicarsi alla poesia. La bottega di via San Nicolò rappresentò inoltre un particolare osservatorio per il poeta, perché numerosi erano i clienti che frequentavano la libreria, che divenne nel corso degli anni luogo di ritrovo per scrittori e artisti. Tra gli altri, Italo Svevo, a cui piaceva passare quasi tutte le sere e raccontare, una volta ottenuto un tardivo successo per i suoi romanzi, i ricordi delle sue imprese commerciali.











L’impressione che lascia, nel suo insieme, la lettura delCanzoniere è quella di una «coraggiosa affermazione della vita» sullo sfondo di «una bella giornata». Di una bella giornata vissuta a Trieste. Storia e cronistoria del Canzoniere

RITRATTO DELLA MIA BAMBINA
La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: "Babbo
-mi disse – voglio uscire oggi con te"
Ed io pensavo : Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.
Linuccia, l’unica figlia di Umberto Saba, eredita dal padre i bellissimi occhi azzurri e dalla madre la personalità volitiva. Il rapporto del poeta con la bimba e più tardi con la giovane donna è pieno di contraddizioni, in bilico tra complicità e contrasto. La figlia sarà custode fedele e esegeta attenta al lavoro del padre.
Dopo un breve soggiorno a Milano, allo scoppio della prima guerra mondiale il poeta venne richiamato alle armi. Al termine del conflitto, la famiglia Saba tornò a Trieste nel febbraio 1919 e andò a vivere in via Chiozza (ora via Crispi) 56. I rapporti tra i due coniugi non erano facili a causa della diversità dei caratteri: passionale e vitale lei, scontroso e solitario lui.
Il 24 gennaio 1910 nasce la figlia Linuccia, che Saba costrinse ad affidare a una balia: i rapporti tra i coniugi subirono un momento di crisi che culminerà nel 1911 in una temporanea separazione. Lina, la cui ribellione sfocia nel tradimento, riprende la figlia e va a vivere da sola in via Rossetti, Saba invece torna dalla madre in via San Giacomo. Nel maggio 1912 i coniugi cercano di risolvere la crisi lasciando Trieste e trasferendosi a Bologna.

Nella poesia di Saba Lina rappresenta la figura femminile dominante, quella che il poeta stesso definisce se non la sola, certo la più importante, la regina.Si erano conosciuti nel 1904, durante una licenza del servizio militare, grazie all’amico Giorgio Fano che per primo parlò al poeta di una ragazza che, da anni,era in attesa di un fidanzato scappato a Fiume a causa di una repressione austriaca.Si sposarono il 28 febbraio 1909 nel tempio detto Scuola Vivante, all’inizio di Via del Monte, tanto cara a Saba e, dopo un breve viaggio di nozze a Firenze, andarono ad abitare a Chiarbola Superiore 91 (poi strada di Fiume 53), lo scenario delle raccolte di poesie Casa e campagna e Trieste e una donna.


Mio padre è stato per me l'"assassino",


fino ai vent'anni che l'ho conosciuto.


Allora ho visto ch'egli era un bambino,


e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto.


Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,


un sorriso, in miseria, dolce e astuto,


Andò sempre pel mondo pellegrino;


più d'una donna l'ha amato e pasciuto.


Egli era gaio e leggero; mia madre


tutti sentiva della vita i pesi.


Di mano ei gli sfuggì come un pallone.


"Non somigliare - ammoniva - a tuo padre".


Ed io più tardi in me stesso lo intesi:


eran due razze in antica tenzone. .(da Autobiografia, 1924)

Il ricordo d'infanzia più antico che conservo: mi vedo un bel bambino biondo in braccio a una donna giovane e formosa (la mia amatissima balia). Sulla soglia di una bottega di mobili sta in piedi mia madre (vendeva mobili in cittavecchia) e minaccia con la mano me e la donna, perché questa mi aveva portato di nuovo in chiesa dei «goim». (Era la chiesa detta del Rosario, dove effettivamente la balia mi conduceva quando andava, la sera, alla Benedizione; ed io mi compiacevo molto e dell'odore dell'incenso e delle belle immagini). Io, a quella minaccia, scoppio in pianto; ho il senso di aver avuto paura.Da una lettera di Saba allo psicanalista J. Flescher, datata Trieste, 14 marzo 1949
Il ricordo è presente anche nella Prefazione del racconto Gli ebrei.

Da bambino Saba si ritrova conteso tra l'affetto istintivo e solare della balia, Peppa Sabaz, e quello più freddo e rigido della madre Rachele, che, gelosa, dopo tre anni le porta via il bambino, non per tenerlo con sé, bensì per affidarlo a due lontane cugine a Padova.

Sull'infanzia di Saba si è scritto molto, a cominciare dal poeta stesso. Pochissime invece le immagini che conserviamo, che furono distrutte in gran parte da Saba.
Saba è nato a Trieste nel 1883. Sua madre era ebrea; suo padre, che sparì subito dal cerchio della famiglia (prima ancora che il poeta nascesse) e che questi conobbe appena intorno ai vent'anni () «ariano». In questi scarsi dati di stato civile vi sono già – come si vede – molti elementi isolanti. Nascita in una famiglia disunita, in una città di traffici e non di vecchia cultura, varia di razze e di costumi, abbiamo qui molto di quello che si potrebbe chiamare «il colore locale « di Saba.Storia e cronistoria del Canzoniere

Saba è un uomo degno di biografia; la sua vita ha accenti indimenticabili ed è certamente la più autentica prefazione ai suoi scritti (Giacomo Debenedetti).

Coinvolgimi o fammi arrabbiare

Mark Prensky,“Coinvolgimi o fammi arrabbiare” Mark Prensky,“Coinvolgimi o fammi arrabbiare” nilocram Mark Prensky,“Coinvolgimi o fammi arrabbiare” Che cosa chiedono gli studenti di oggi?